Atto I – Una compagnia di
attori si riunisce per fare la prima prova di una commedia ambientata in epoca
longobarda. Per il regista, che è anche l’autore del testo, si dovrebbe
trattare di un’opera seria, ma la tessitura è così banale e astrusa da
provocare diverse perplessità negli interpreti e, soprattutto, un diffuso riso.
Nessuno fa molto caso a qualche piccolo
increscioso incidente, come a un gatto che graffia un’attrice, o a un topo che
ne morde un’altra dietro le quinte, come nessuno si meraviglia più di tanto
quando il sipario, sfuggendo al controllo del siparista, comincia magicamente
ad aprirsi o a chiudersi da solo.
Mentre la prova si snoda in tutta la sua
povertà di idee, sopraggiunge una compagnia di saltimbanchi, ai quali, per un
errore della direzione del teatro, è stato messo a disposizione lo stesso
palcoscenico per la stessa serata. Le due compagnie si accordano di provare
alternandosi l’una con l’altra, cosicché i brani delle vicende longobarde
verranno qua e là interrotti da alcune tammurriate.
Improvvisamente da una carretta coperta,
trasportata dai teatranti, esce un gorilla, che il capocomico spiega essere
stato un uomo ridotto in quello stato dal mago Tassilone. Siconolfo, uno dei
longobardi, lo compra, senza potersi immaginare quali sconvolgimenti accadranno
a causa di quell’acquisto.
Un giorno il gorilla (forse per rivendicare
la sua natura umana?) sottrae al nuovo padrone il mantello azzurro, con cui
Siconolfo abitualmente esce, ed esibendosi così paludato a fare acrobazie nelle
luci incerte prima del crepuscolo, poi della notte, viene scambiato da
Sichelgaita per lo stesso Siconolfo. La fanciulla nota con sorpresa che adesso
i suoi movimenti esprimono una potenza e un’eleganza mai mostrata prima, e di
conseguenza finisce per innamorarsi proprio dell’uomo che fino a quel momento
aveva disprezzato.
Si chiude qui la prima prova della commedia,
gli attori e i teatranti se ne vanno e rimane sul palcoscenico solo il
siparista che, mentre rimette un po’ le cose in ordine, accende la televisione.
Una bionda annunciatrice avverte dallo
schermo che diversi animali domestici, divenuti aggressivi a causa di una nuova
malattia, hanno iniziato a trasmettere agli uomini un virus ignoto che provoca
turbe nella memoria, fino a una totale amnesia. Il siparista è l’unico a
rendersi conto che gli attori aggrediti dagli animali sono stati contagiati dal
nuovo virus.
Atto II
È arrivata la sera della “prima”. Si sta per
andare in scena, quando molti degli interpreti si accorgono di avere difficoltà
nel ricordare la parte, fino ad accusare veri e propri vuoti di memoria. Il
regista, disperato, corre ai ripari come può: mette sul palco un suggeritore, e
chiama al cellulare il capocomico chiedendogli di venire a coprire i vuoti di
memoria degli attori con le ballate dei suoi teatranti.
La recita ha inizio. Tra dimenticanze,
papere e tammurriate si scopre che è stato proprio l’uomo trasformato in
gorilla, su mandato dei misteriosi teatranti, a diffondere il virus
dell’amnesia tra gli artisti.
Ma perché? Gli attori prenderanno coscienza
della nobiltà di intenti che ha guidato la squadra dei teatranti, quando, nella
vita come nel teatro, impareranno a dimenticarsi dei copioni, perché solo a
partire da quel momento inizierà per loro un percorso nuovo, verso la conquista
della libertà interiore.
“Liberi da che cosa?”, chiederà Dauferio.
Sarà Adelperga
a rispondergli: “Liberi di poter amare, perché solo amando ciò che ci circonda
e tutti gli uomini, proprio tutti, anche quelli che non conosciamo, potremo
realizzare noi stessi”.
La commedia è compiuta.
Il siparista guarda stupito il sipario che
ancora una volta si chiude da solo.
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